SEDE VACANTE

(April 27, 1605—May 16, 1605)



Vittorio Siri, Consigliere di Stato et Historiografo della Maestà Christianissima,   Memorie recondite,  Dal anno 1601. sino al 1640.  Volume primo  (Ronco 1677), pp.  308-316 and 326-335:

 

The Affair of Cardinal Farnese and the Duke of Parma.
Cardinal du Perron's consultative Journey to Rome.


(September-December, 1604)


Il Re [Enrico IV] diede poscia li 19. Marzo 1605. sue lettere patenti per le quali in riguardo della Marchesa [de Vernueil, sister of the Comte d' Auvergne]  sarebbe più amplamente informato; e infrattanto condotta sotto buona, e sicura guardia nel Convento di Beaumont le Tours per esservi ritenute con divieto di conversare con chi che sia sol che con le Religiose del luogo sotto pena d'essere convinta dal caso appostole. Commutò poi quel luogo nella sua casa di Vernueil con prohibitione di sortire, e vedere altri che i suoi domestici.  Al Conte d' Ovvergna, ad Entragues, e à Morgan convinti di delitto di lesa maestà in primo capo fù li 15. del seguente mese d' Aprile fulminata sentenza di privatione di tutti gli Stati, onori, e dignità, con condannagione al taglio delle stest sù palchi nella piazza di Greve, e i loro beni confiscati; ma per gratia speciale commutata la pena di morte al Conte, cioè, e ad Entragues in un carcere perpetuo con la reintegratione ne' loro beni, etiandio nella loro buona fama, e renomea senza comprendere però in questo le cariche, e usci conferiti da' Re suoi predecessori, e da lui; e à Morgan la pena della morte in un perpetuo esilio.  E poscia con altre patenti nell'istesso mese d' Aprile ordinato che tutti gli Atti fatti contra la Marchesa si cassassero, e restasse affatto abolita la memoria del delitto del quale era illaqueata tale quale potresse essere senza veruna eccettione, come pure l'arresto, et interinamento dio dette Patenti.  Ad Entragues parimente tramutarono la prigione nella sua casa di Malesherbes; lasciadosi il Conte d' Ovvergna nella Bastiglia che li servì d' hospitio per il corso di dodici anni à macerare; e domare l'indomita sua protervia.  Non fece il Re questa volta gran ichiamazzo contra gli Spagnuoli perche non en appariva molta occasione, e nel resto non sapendo svillupparsi da quelle tenacissime panie nelle quali erano impiastrate le sue piume, e invischaite l' alipareva havesse fatto divortio ad ogni pensiero di guerra pago di conservarsi gli amici per tutte l'occorrenze perche gli erano d'ornamento in piena pace, e in caso di bisogno di prò, e di sicurezza. Per questa ragione pure assai gli spiacque l' affronto che Clemente VIII. e il Cardinale Aldobrandino di lui nipote, e suoi amici sostennero dal Cardinale Odoardo Farnese di cui era facciamo racconto.

[September, 1604, before the 6th]  Conducevano prigione gli sbirri un marinaro che scappato dalle loro mani si rifugiò nel Palazzo Farnese ove volendo entrare per ripigliarlo furono rispinti da un gentil' huomo Inglese chiamato Arturo al quale con insolenza sbirresca uno di loro li disse che n'erano stati impiccati de gli altri in quel Palazzo per simile causa; con che provocò contro di se Pira d' Arturo che lo feri malamente; il che reputasi in Roma un' enormissimo delitto come che vulnerata ne rimanga la sovranità del Principe.  Per ordine dunque d' Aldobrandini, Monsignor Ala Governator di Roma adunò tutta la sbirreria, i Corsi, ed ogn' altra militia urbana per penetrare nel sudetto Palagio; arrestavi di forza i delinquenti; e farne pronta, ed esemplare giustitia.  A tal romore tutta Roma corse all' arme à favore del Cardinale Farnese, chiudendosi in un' attimo le botteghe; e il Barenaggio, e nobiltà Romana repente si trassero al Palagio Farnese per difenderlo.  Il Marchese di Vigliena Ambasciadore del Re di Spagna, e arente del Duca di Parma udito il romore con titta la sua famiglia si rese appresso la persona del Cardinale Farnese ove si trattenne tutto quel giorno con proponimento, per quanto n' apparivano da ogni banda gl' inditij, di contraporsi à mano armata ad ogni sforzo che cimentasse la giustitia del Papa. Furono affissi sù le cantonate della Città monitorij contra il Cardinale Farnese citato à comparire dentro tre giorni.  Giunse il Governatore al Palagio ove senza comitiva fu lasciato entrare.  Introdotto alla presenza del Cardinale li fece istanza per parte del Papa che li facesse consegnare i rei.  Il Cardinale li rispose che non era più ragazzo; e lo licentiò.  Erasi dato ordine nel ritorno che sarebbe il detto Governatore che quando arrivasse in Sala fosse preso, e buttato giù dalle finestre.  Ma li Cardinali S. Cecilia [Paolo Emilio Sfondrato, of Milan] e [Flaminio] Piatti [of Milan] che si rincontrarono nella Camera di Farnese quando ne fù data la Commessione destramente lo fecero uscire per la scala à lumaca di strada Giulia, e lo scamparono dall' imminente morte.  Consigliava il Duca Giuliano Cesarini che con tanti armati, e col popolo tutto che li secondava si andasse speditamente à pigliare il Papa che stava à Montecavallo senza lume alcuno del sollevamento di Roma, e menarlo à Caprarola luogo del Duca di Parma.  Non adheri à si violento partito Farnese per natura misurato, e mite; anzi per sottraere l' esca all' incendio usci di roma ben' accompagnato tenedo al lato di se Arturo, e il marinaro quali l' Ambasciadore di Spagna confortava di ricovrarsi in certo luogo del regno di Napoli con buona scorta che loro provederebbe. Il Duca Cesarini, e molti altri Baroni Romani sgombrarono la Città; e si portarono à Gaeta. Eravi ordine preciso del Papa che in qualunque luogo che 'l Cesarini venisse presoipso facto venisse strozzato. E se bene gliè ne fosse trapelata la notitia con tutto ciò come fù in Campo Vaccino smontò di cavallo per dissetarsi nella tazza di Marsorio ove bee il bestrame contra i conforti di quei Baroni ch' erano seco dicendo loro che tanto era morire di sorca come di fete.

Spedì il Papa al Duca di Parma il Laudarello per dargli parte di quei trambusti perche dal suo canto cooperasse al loro sedamento. Ritornò egli celeramente à Roma, e riferì al Papa che Ranuccio li baciava i suoi santissimi piedi della gratia, e favore che gli haveva fatto di dargli parte col Nuntio di lui di quanto era successo in Casa del cardinale suo fratello; e che non era bisogno appresso la Santità Sua che si diffondesse molto in fargli sede, e testimonianza dell' amarissimo disgusto da lui sentito di quell' accidente. E se bene eera in debito di credere tutto quello che Sua Santità restava servita di farli riferire tuttavia non poteva in ciò risolvere cosa veruna se prima non abboccavasi col detto Cardinale suo fratello. Non frappose indugio alla sua mossa su cavalli per le poste si che giunse il giorno seguente, cioè il giovedi sera à Caprarola ove non rinvenne il Cardinale suo fratello, e per tanto fù à trovarlo à Capochimona incontrato da lui con quattrocento cavalli. Inagrivansi gl' umori per l' affissione d' un Monitorio contra il Sig. Arturo, e gli altri tre gentil'huomini Farnesiani i quali fecero violenza alla Corte; e tiravasi avanti il processo per condannarli in contumacia, o bandirli; e poscia comparendo à Roma il Duca di Parma accomodare il tutto con sodisfatione del Papa, de gli Aldobrandini, e del Cardinale Farnese.  Da principio fu fatta una Congregatione sopra questa fastidiosa occorrenza delli Cardinali Tosco [former Governor of Rome], S. Eusebio [Ferdinando Taverna], Governatore di Roma [Benedetto Ala], e Fiscali;  e il primo articolo che vi si discusse fù se quel tumulto sapesse di crimine di lesa maestà; e vi si concluse affirmativamente; e poi si passò alla difamina dell'altro punto se essenedo il delitto tale si potesse procedere contra i complici.  Il Cardinale Tosco disse che non potevasi agire contra i complici se prima non agivasi contra i principali; e che 'l principale erea il Cardinale Farnese come colui che per causa sua erasi fatto quel radunamento di gente, e resistenza alla Corte.  Per tal sospetto non si tosto il Cardinale Farnese usci di Roma che partirono i Duchi Gaetano, Cesarino, S. Gemini, Gio: Battista Matthei, li Frangipani, e altri ritirandosi alla Cisterna Luogo de' Caetani, e di là à Gaeta col favore del Conte di Benevento [Giovanni Alfonso Pimental d' Errera] Vicere di Napoli.  Tutti gli altri che pur concorsero in quel tempo nel Palagio Farnesiano se bene alcuni, e con la lingua, e coll' opere si fossero mostrati appassionatissimamente partiali à quella casa continuarono la loro stanza in Roma, e à corteggiane al solito il Cardinale Aldobrandini. Credevasi nondimeno che nè anco essi fossero sicuri se bene si sperasse nell' avvento in Roma del Duca di Parma che tutto si acconcierebbe; e che di quei Cavalieri, e gentil'huomini Romani che confero colà allo strepito non si sarebbe mentione per mostrare di non haver' errato, e solo si tratterebbe de' quattro sopramentovati.  era però pensiero della Corte che nessuno di loro durante il Pontificato di Clemente VIII.  oserebbe di commorare à Roma, perche ogni peccato veniale saria loro imputato per mortale.  Haveva il Papa spedito in Spagna per ragguagliare il Re del seguito; con fare che il corriero s' inviasse dal Cardinale Giustiniano à Genova à titolo di suo negotio; e di là da Gio: Francesco dell' astesso cognome fosse spinto in Corte Cattolica.  Al Marchese di Vigliena Ambasciadore di Spagna fù riferito che si pensasse di fargli il processo, ed inviarlo al suo Re di che ne montò in molta ira; e in agre maniere se ne dolse col Papa, e molto più col Cardinale Aldobrandini fino à perdergli il rispetto con trascorrere in rimproveri che del Re di Francia non facesse alcun conto, e pochissimo del Re di Spagna, e molto meno ancora de' Principi d' Italia che ne restavano titti amari, e scontenti discendendo a' particolari : onde ne venne appuntato da' suoi amici stessi come di troppo trascorso. Procurava il Papa in Spagna di farlo rappellare come disgrato, e che andesse trattessendo pratiche per il futuro Conclave acciò si esaltasse à quel supremo grado soggetto avverso alla Casa Aldobrandina.  Di ciò mostrava non curanza il Marchese vantandosi ch' egli honorava la Corte di Roma come che pochi pari suoi vi fossero stati Ambasciadori; e che per l' accettamento di quella carica il suo Re li fosse obligato.

Il Mercoledi giorno della Natività della Vergine [September 8, 1604] ad un' hora di notte entrò in Roma il Duca di Parma rincontrato fino alla Storta una posta discosto dalla Città da tutti li Cardinali creature di Clemente VIII. sino al numero di ventisette oltre all'essergli poco prima iti à complimentarlo li Cardinali S. Cecilia, e SS. Quatro [Giovanni Antonio Facchinetti] come anco l' Ambasciadore di Spagna con quattro carrozze a sei.   Li sudetti ventisette Cardinali non sapevano altramente d' havere ad uscire di roma essendo stati intimati à Montecavallo tra le diciotto, et 19 hore;  e insaginavano che fosse per fare corona al Papa nell' accogliere Ranuccio.  Ma giunti alla posta fù detto loro da parte della Santità Sua che le hauriano fatto piacere di andare ad incontrare il Duca; e così cinque per carrozza s' inviarono alla sua volta; e salutato col à il Duca ritornarono à Montecavallo per assistere al Papa ove si trovò ancora il Cardinale S. Marcello [Paolo Emilio Zacchia] il quale per la sua indispositione non potè intervenire con gli altri.  Restarono col Duca solo li Cardinali Aldobrandini e S. Giorgio [Cinzio Passeri Aldobrandini]. Fù pure incontrato da Giorgio Aldobrandini à cavallo con tutti i Baroni, e Signori romani in numero di sopra trecento, e in si gran folia vi concorse il popolo si à piedi come in carozza che le strade erano piene da S. Marco fino à Ponte Mollo che sono da tre miglia, il che avvenne non tanto per la naturale curiosità del popolo quanto per lo spettacolo raro di vedere un Principe di mediocre grandezza trattato come un gran Re; il che non fosse seguito due altre volte ch' era stato à Roma di gran lunga non così onorato come al presente. Questo diede occasione a' malevoli alla Casa Aldobrandina di sparlare di loro, e dire che alla fine s' erano renduti; e non volevano la gatta temendo non arrivasse loro quanto dal Marchese di Vigliena era stato antidetto, non essendo più visto portarsi tutto un Collegio di Cardinali all' incontro di un Duca; che però l' Ambasciadore Veneto con arguto motto disse che 'l Duca di Parma haveva trionfato de' Cardinali; e 'l Cardinale suo fratello de' Baroni; e Signori Romani, sottinentdendo il giorno del tumulto.  Pervenuto a Montecavalloo fu subito condotto dal Papa che lo raccolse con espressioni di somma benignità, e tenerezza; e di la passò immendiatamente à casa dell' Ambasciatore di Spagna con cui si trattenne sino alle cinque hore di notte.  Alli nove di Settembre pranzò in publico col Papa, e poi applicossi a ricevere le visite; e verso la sera andò à fare le sue alla suocera, e alla nuora.  Come naturalmente era il Duca manierosissimo, avvenante, e savio oltre alla stretta sua parentela col Papa, e con gli Aldobrandini fù stimato un' acconcio mediatore di quei dispareri alla cui compositione propendeva Clemente ma non già così il Cardinale nipote. Il nodo più intricato era quello che concerneva l' Ambasciadore di Spagna le attioni del quale intendeva il Papa di separare da quelle del baronaggio Romano, e de gli altri attesoche il perdono che voleva impartire a' propri sudditi non potevasi tirare à conseguenza; rimproverandogli che havesse abusato dell' autorità della carica contra il dovere, e contra l' esempio premostratogli da gli Spagnuoli stessi inverso la persona del Conte di Rochepot Ambasciadore Cristianissimo in Corte Cattolica; e verso un' Ambasciadore della republica di Venetia per à quali insegnavasi à coloro che amministravano cariche publiche quanto debbano reggersi con discretione, e misura, e accompagare le loro attioni con la modestia.  Allegava à propria giustificatione l' Ambasciadore Cattolico che per niun'altro motivo si fosse mosso ad accompagnare il Cardinale Farnese che per impedire la seditione la quale senza la sua opera, e presenza saria trasordinatamente cresciuta all' eccesso.  A qualcuno questa scusa pareva altrettanto piena di presuntione quanto che con la stessa sua attione pretendeva d'havere assicurato il Papa in Roma stessa, e di potere nella capitale del suo Stato molto più di lui quando ripuitavasi idoneo à far si che i suoi sudditi l'ubbidissero quando la Santità Sua non ne poteva venire à capo.  Non s'infingevano punto gli Spagnuoli ne' privati colloquij di vantare la propria autorità in Roma à segno che nulla dibitassero in occorrenza di necessità, e à libito di far testa, e stare à tu per tu col Papa.  A stento l' Ambasciadore Marchese di Villena calava all' accomodamento ove da Palazzo non si scrivesse in Corte Cattolica tutt' altramente da quello era stato adoperato intorno alla sua persona, e alla prenarrata attione;  insistendo che si dicesse com' erano stati affari meglio informati di quanto haveva egli fatto, e operato per la quiete; e non per eccitare tumulto sapendo che 'l Cardinale d' Avila, Mario Colonna [9th Baron di Fiumedisini, Pretore di Palermo], e altri con loro lettere si fossero ingegnati di denigrare le attioni della sua ambascieria.  Molti nondimeno erano di parere che mettesse à meglio per la riputatione, e convenienze del Marchese versasse la Corte Cattolica in quella credenza che l' accreditava per huomo di valore e di petto.  E in Roma stessa scorgevasi il suo grande avanzamento ne' gradi di stima, e di riputatione, come pure era succeduto de' Farnesiani si del Duca come del Cardinale il quale haveva ricuperato quanto perse al principio del Pontificato quando gli occorse un simile accidente, e che furono decapitati alcuni i suoi familiari.

Quanto a gentil'huomini Romani non sconfessava l' Ambasciadore d' haverli persuasi ad andarsene con Dio; il che convinceva quanto abbaqccasse mentre giudicava che coloro da' quali era stato accompagnato potessero ricevere il meritato castigo.  E per tanto coloro che godevano della duratione di quei dissidij mettevano il Papa alla leva che se tollerqasse patientemente tali insolenze senza chiederne reparatione in Spagna incorrerebbesi cotidianamente in non dissimili falli oltre all' importargli sommamente che si conservasse il dovuto rispetto alla S. Sede.  Si studiò con molta arte il Conte di Bethunes in aizzare il Papa contra l' Ambasciadore di Spagna promettendogli che 'l Re Cristianissimo non con nude parole di complimento ma con gli effetti della sua posso, e dell' armi li darebbe certissima riprova della sua gratitudine, e affetto.  Due fini in questo uscio si propose;  l'uno di fargli apparire la cura che havevasi in Francia del mantenimento della sua autorità; l' altro per incitarlo à chiedere, e ottenere qualche sodisfatione di spagna per la quale si riprovasse il fatto dell' Ambasciadore, e per tal via scolorarlo prevedendo che frà tanti Cardinali opererebbe il suo effetto; imperoche la più sana parte d' essi biasimava l' attione tutto che non osassero esplicarsene per non guastare i loro interessi, e per naturale timidità della quale ne haveva in Aldobrandini medesimo notato qualche vestigio quando confortandolo à fare rivocare il detto Ambasciadore udi da lui che se il re Cattolico non vi condiscendeva si troveria posto in impegno, e in compromesso senza che gli entrassero giamai le ragioni di Betunes, e in particolare che in minor suggetto di questo Sisto V. facesse sfrattare di roma il Marchese di Pisany Ambasciadore Cristianissimo; e che bastava che 'l Papa s' indurasse à non voler trattar seco.

Con destrezza, e accorgimento tale maneggiò Ranuccio l' accomodamento di quella brigosa controversia mollificando gli animi che conciliò i disgiunti con plenario perdono prima ad Arturo, e al marinaro, e poi à tutti gli altri. Il Duca di Parma prima di restituirsi a' suoi Stati fù in Campidoglio à ringratiare il popolo Romano delle dimostrationi della sua affettuosa partialita inverso la sua Casa.  Il Papa acerbamente si rattristò, ed immalinconichi di maniera per questo successo che rendeva nubiloso, ed oscuro l' occaso del suo resplendentissimo Pontificato si che à capo di pochi mesi cessò di vivere dopo haver penato più di venti giorni senza altro sentimento se non di lamentarsi del nipote quale interpellava sovente, che cosa hai fatto che in dodici anni non ti sei fatto un' amico?  Questo pieno d' alterigia, e di rabbia dall'essere stato tratto di forza à quell' accomodamento simolato ruminava di levare l' armi a' Cittadini; dar soldo alla maggior parte de gli artisti di Roma per haverli a' suoi servigi; e rovinare i Baroni coll' astrignerli al pagamento de' debiti: la morte del Zio troncò l' ali à questi suoi tumultuosi, e audaci disegni.

Prima che questa seguisse, di gratissimo suono all' orecchio del Re Christianissimo era riuscito il ragguaglio del suo Ambasciadore che in Roma si ricorresse all' efficace, e salubre lettovaro della sua autorità per lo smorzamento di quel fuoco che s' era acceso tra gli Aldorandini, e i Farnesi, percio che se bene non potesse egli approfittarsene per essere l' Ambasciadore di Spagna l' autore della contesa sua loro ò del preteso almeno : nondimeno come non era di parere che cedesse à prò de gli Aldobrandini la duratione di quella mala intelligenza con Principi Sovrani se bene stabiliti; così non revocava in dubbio non si appigliasse ad ogni sorte d' argomenti per seccarla speditamente.  La credeva pure negotio da favorisi da tutti coloro che da dovero amavano la casa Aldobrandina, e non miravano à pescare in quel torbido con irritare la loro discordia la quale alla fine non potesse essere giovevole ad alcun di loro anzi pregiudicialissima à gli uni, e à gli altri.  E se bene li Farnesi si riparavano affatto sotto il patrocinio, e la dipendenza della Corona di Spagna onde ne fosse per derivare che gli Aldobrandini per necessità se continuasse l' inimicitia si trouverebbono forzati di ricorrere alla tutela della Frncia;  nondimeno ratioo volesse che bisticciandosi tra' parenti si riconciliassero alla per fine insieme con sapere poco grado a' fomentatori de' loro torbidi.  In oldre si desse il Duca di Parma per mal sodisfatto del' attione praticata sseco dal Conte di Fuentes circa il dispegnamento della Città di Novara; e se lui e 'l fratello havevano virilmente sostenuta la causa del Marcese di illiena Ambasciadore di Spagna presso il Pontefice fosse stato più in riguardo della parentela, e amicitia sua con la loro casa che per rispetto del Re di Spagna con cui non occorreva dubitare non si rappattumassero ben tosto il Papa, e 'l Cardinale Aldobrandini, imperoche quelli del Consiglio intimo di Spagna conoscevano quanto importasse il contentare Clemente, e 'l non tirare in gara il nipote frà procinti in specie d' un Conclave ove galleggierebbe. Di buon grade nientedimeno passerebbe egli tanto col detto Ambasciadore di Spagna che col Contestabile di Castiglia gli ufici che desiderava Aldobrandini il quale potesse fare sicurissimo capitale d' ogni sua assistenza, e protettione in tutte le sue occorrenze.  Questa strada riuscisse parimente utilissima, e honorevole alla sua Corona avvegnache riconciliandosi insieme profitterebbe sempre del gradimento che haurebbono meritato che farieno stati consigliatori, e favoreggiatori di quel successo; e quando tutt' alramente succedesse gli Aldobrandini si risovenirebbono sempre de' buoni ufici fatti dalla M. S. con sentimenti di gratitudine de' conforti, e aiuti trovati in un vero amico senza che loro si fosse porta occasione di reamente interpretare che si fosse mosso à questo più dalla consideratione de' suoi particolari interessi che del loro proprio bene.  E sì fermo, e sincero si mantenesse nelle sue promesse che quando il Granduca ò altro Principe resumesse di rimoverlo dall' osservatione d' esse vi perderebbe l' opera, e 'l tempo.  Cadde per tanto gratissimo all'animo d' Enrico l'intendere l'accordo segunto tra' Farnese, e gli Aldobrandini per loro medesimi senza l' altrui intromessa se non in qualto il Cardinale Conti vi spese qualche ufici, poiche di questa maniera la riconciliatione ne saria stata più durevole, e più perfetta che se fosse seguita col mezo d' un' autorità, e possanza maggiore....

 

... Poco dianzi,cioè à dire, il dopo pranzo del giorno de' ventidue di Novembre [November 22, 1604], nel passaggio che per Torino fece di Francia à Roma il Cardinale di Perona hebbe con esso lui il Duca un lungo colloquio nel quale con la sua natia eloquenza esagerò la stima in cui il Re haveva il suo vasto ingegno, e cuore; e quanto bramasse di conservarsi il suo affetto, e amicitia.  Si diede il Duca per sommamente olbigato al Re della buona opinione che della sua persona compiacevasi d'havere, e che trasaliva all'apice del vero onore in sentirsi lodato da un Re degno d'immensa lode.  Travalcareno al ragionamento delle prosperità della Francia; del piacere che tutta la Cristianità gustava in vedere per la cura e attentione di S. M. risiorire con tanti progressi la Religione ortodossa nel Regno; della molta ventura che la pace col ristoramento del commercio si consolidasse trà le due Corone.  Non si entrò in alcun particolare delle concernenze del Duca;  e senza fare alcun' apertura si trattene il Cardinale nelle facende generali, e nella prescritta riserva che dal Re si gli era imposta per norma di non calare ad alcun proposito d'affari se il Duca non fosse il primo ad invitarnelo co'i suoi discorsi.  E per tanto contenti di contendere frà loro nella sovrastanza di civilità, e cortesia li replicò solamente Perona che proverebbe sempre una grandissima agevolezza il Duca in possedere, e conservarsi la buona gratia del Re tanto più che l'amicitia della M. S. non usciva da' cancelli della discretione; e della giustitia; nulla esigendo da' suoi amici che ceder potesse in loro discapito.  Che non ignorava con quali nodi tenacissimi di profitti, e parentela si trovasse legato il Duca con altre Potenze;  ma questo non formasse alcun' ostacolo nè impedimento alla benivolenza con cui il Re lo risguardava, poiche per Divina misericordia la concordia, e la buona intelligenza trà la Francia, e quei Principi era si ben'assodata che non penerebbe punto il Duca à mantenersi in una stretta, e sincera unione con titti mentre si professava il Re si equo, e discreto che non pretendeva che per suo riguardo si mancasse da esso a' doveri di convenienza, e profitto suo.  La risposta fu che per verita come era noto ad ogn'uno trovavasi a causa del suo matrimonio allacciato co'suoi figliuoli al Re Cattolico con grandissimi interessi; nondimeno stimasse altresi infinitamente la virtù del Re; e che la duratione della pace ch'era stata quasi come rinovellata col ristabilimento del commercio rinfronzisse la speranza che in conservandosi egli in ottima intelligenza col Re Cattolico potesse parimente essere amesso à parte della buona gratia del Re Cristianissimo.  Si appose l'ingegno scaltrito di Perona che'l Duca non solamente non voleva parlare il primo ma che havendo à trattare col Re alcuna faccenda segreta non si sarebbe valso per organo, e istrumento della sua persona temendo per avventura che poi in Roma non uscisse à ragionarne con alcuno.  Indarno nel resto sotto la solita maschera al volto della dissimulatione il Duca nascondeva l'acerbità de'suoi rammarichi inverso gli Sapgnuoli tanto per la spinosità, e lunghezza che intrecciavano nella riscossione delle partite che se gli erano accordate che per essersi avvisto che latentemente volevano arrogarsi molte cose del suo, come anco per l'orgoglio innato al Duca di riputarsi pregiato d'assai meriti, e di stretta parentela col Re di Spagna per promettersi da lui immediatamente ogni favore senza che gli fosse di huopo di riccorere all'intercessione del Duca di Lerma solito di renergli la briglia ben'alta.

A Casale nel suo passaggio il Duca di Mantova confermè al Cardinale di Perona la di già imbevuta opinione delle amarezze, e rancori del Duca di Savoia in riguardo de gli Spagnuoli; e disse che se la Regina si scaricava d'un maschio, e che seguisse il maritaggio della seconda figuola del Duca di Savoia col Principe di Mantova li desse l'animo d'indurro Carlo-Emanuele à sposare il servigio della Francia; e à tal effetto tratterebbe egli l'accasamento della primogenita d'esso Duca col figlio del Granduca.  Aggiunse che gli Spagnuoli havessero voluto gratificare lui Duca di Mantova d'una pensione di ventiquattro mila scudi che da lui era stata ricusata. Che pure gli erano stati istantissimi per la permissione d'invernare quell'anno nel Monferrato parte delle loro truppe; ma si fosse egli immobilmente piantato su 'l niego per non avvezzarli à prendere questo piede in casa sua.  Che ogni volta che 'l Re Christianissimo branasse un simile servigio, e se n' offereisse l'opportunità lo troverebbe pronto con gli Stati, con la persona, e co' figliuoli à sagrificarsi ad ogni beneplacito della M. S.

Proseguì il suo viaggio à Fiorenza il Cardinale di Perona à cui disse il Granduca Ferdinando che dopo la rinuntia fatta dal Re del Marchesato di Saluzzo tutta l' Italia diveniva insensibilmente schiava de gli Spagnuoli.  Il Conte di Fuentes piantasse Fortezze sù gul occhi de' Grigioni non solamente ma de' Venetiani ancora; nè hesitasse ne boriosi vantamenti di burlarsi ora della Francia.  Che pur troppo sentivano li Principi d'Italia che lora à poco à poco imponeva il giogo al collo; e nientedimeno non facessero sembiante di sentirlo, perchè chiuse le porte, ed ostrutti i valichi à' soccorsi non osavano tampoco di gemere.  Che in Roma li Cardinali della fattione francese havevano seguito il destino del Marchesato.  In fine troppo graniquaglio si ravvisasse trà quello che 'l Re sariasi potuto promettere dell' Italia quando era in grado di stenderle le braccia con la conservatione del Marchesato; e quello che ora se n'haveva d'attendere dopo la sua perdita.  E rappresentandogli Perona che 'l passo d' Italia non poteva dirsi affatto chuso alla Francia si che non le restasse ancora il modo di soccorrere nel loro huopo gli amici, che quelli di Essiles, e Sastel Delfino toglievano il modo di rimanere intercisi; e che per altro havesse succhiato il Re notabilissimo prò della riscossa della Bresla, Verromey, ed altri luoghi perche con essi non solo copriva, e assicurava la Città di Lione che per prima era frontiera ma anco in tempo di guerra fermava l'introito nel suo Regno, e nel Belgio à gli Spagnuoli non se ne dava per appagato Ferdinando, poiche il valico d' Essilles non era opportuno che per cinque ò sei mesi dell' anno, e quando un Re di Francia passava in persona in Italia, ò vi faceva calate un' esercito bisognava che fosse sicuro d' una ritrata prticabile, e comoda in tutte le stagioni. e di possedervi un magazzino ove custodirvi sicure le artiglierie, e munitioni. Che la migliore frontiera per premunire la Città di Lione, e metterla à coperto era il Marchesato nel quale la Francia non potesse mantenere si poche truppe che non valessero à tenere in iscacco il Duca di Savoia con obligario à rappellare le sue forze per l'indennità del Piemonte.  Quanto al passo per la Francia, e per la Fiandra essendosi col negotio gli Spagnuoli disserato quello de' Suizzeri poco ò mulla importasse loro il paese della Bressa; oltre che con una forte guernigione nel Marchesato ò col farvi discendere da un tempo all' altro qualche numero di truppe forzavasi il Re di Spagna à riempire di soldatesche il Ducato di Milano; e così ò abbandonare la Fiandra, e lasciarla preda de' ribelli. ò de' nimici; overo costrigenersi à tenere l'uno, e l'altro paese armato con una eccessiva spesa, e quasi incomportabile à quella Corona scarsissima d'huomini per rifornire tanti lati non potendo il Ducato di Milano reggere l' alloggio di più di tre mila huomini senza sfollarlo, e senza sollevare il popolo quando vedrebbe pronti i succorsi in suo sostenimento.  Ma riconosceva Perona intempestivo questo discorso di Ferdinando; il cambio essendo di già effettuato, e per conseguenza nulla suggetto à nuova consultatione se si havesse à preferire la Bressa ò il Marchesato.  Pareva nientedimeno al Granduca che non si havesse a disperare del rimedio se il Re si determinasse alla ricuperatione del Marchesato con rilassare il cambio che he haveva ricevuto perche in tal caso promettevasi di suggerire i modi di venirne a capo. E frà gli altri messe in tavola che la Republica di Venetia, e lui farebbono borsa di due ò trecento mila scudi di regalo al Cardinale Aldobrandini per interessarlo nel succeso della cui prosperità nulla dubitavano quando si accingesse all' opera.  Che non bishgnava si ributtasse il Re della spesa richiesta al mantenimento del Marchsato; perche egli, li Venetiani, e altri principi d' Italia volentieri si taglieggerebbono non solo per la paga delle guernigioni ordinarie ma anco quando à misura dell' occorrenze trattato tratto vi calassero forze straordinarie à freno de gli Spagnuoli se straniassero ò facessero i cattivi.

Miravansi vicendevolmente con occhio di molto dispetto il Granduca, e gli Aldobrandini vantatosi il Cardinale con Perona come in sua mano era stato lo spiantamento della Casa de' Medici quando fece ritorno in Savoia; imperoche il Conte di Feuents teneva commessione espressa in quel tempo dal Re Cattolico di avventarsi con la sua armata contra la Toscana si veramente che il Papa vi consentisse senza attendere nuovo mandamento di Spagna.  Che 'l Papa, e lui vi riluttarono, e ne impedirono l' effetto.   Non dava in ciò il Cardinale Aldobrandini tutto il dovuto ossequio alla verità nascondendo in silentio che quando Clemente VIII. tutto mettena à lavoro per aizzare gli Spagnuoli all'intera oppressione de' Medici à fine di sevoterne il Principato, e rimettere lo stato di Fiorenza come ab antico à governo di poliarchia, esibendo ogni sua possa all' impresa affrontò nel Consiglio di Spagna questo suo desiderio, e proietto un' insuperabile ostacolo; e quando poi gli Spagnuoli in altro tempo pensarono dell' ingiurie ricevute da Ferdinando in più occorrenze à prenderne memorabile vendetta invitando Clemente a far loro compagnia coll' esca di larghissime oblationi, e di opulentissime retributioni non fù mai possibile di crollarlo con sì gagliarde scosse immobilmente piantato nel rifiuto.  La ventura dunque di Ferdinando fù che la diversità de' tempi, dello stato delle cose de gli uni, e de gli altri, e delle loro convenienze impedì quell' accozzamento in unione di disegni, e d' apparecchi d' arme che dettavano le voglie, l' animosità, e l' interesse, e che di certo potea esporlo à manifesto pericolo ò ad inevitabile desolatione il suo dominio, e i popoli à lui suggetti.  All' animo sagacissimo, et attentissimo di Ferdinando era pervenute qualche sentore di queste sorde macchinationi contro di lui; e per tanto caldamente raccomandossi ad Enrico che gli era amico, e obligato di fare arrestare in qualche maniera in alcun luogo del suo Regno la valigia delle lettere che secondo i riscontri, e i balcoli de' ricevuti avvisi un certo Ordinario di Spagna recherebbe di là per la Francia, e per Lione à Roma ove attendevasi il risultato, e conclusione di quei maneggi; farla aprire, e da qualche valente scifratore raccogliere il senso, e le copie de' dispacci del Nuntio, e di quella Regia Segreteria, imperoche al sommo delle sue fortune importasse di diffigilare quello che in suo discapito, e rovina si andava arcanamente trattessendo trà Clemente, e 'l Re di Spagna.  Non mancò il Re alla brama, e istanza del Granduca spedendo à Lione il più esperto de' suoi dici servatori con ordini, e instruttioni ad Alincurt Governatore della Città del modo col quale vi si dovesse comportare.  Appena scavalcato il corriero di Spagna se lo fece al solito condurre davanti, e oltre alle cortesie, e carezze lungo tempo il trattenne ad ebria mensa tussandoli l' anima nel vino, e nel sonno quando aperta la valigia, e i dispacci lavoravasi intorno allo sciframento, e copia di quelli ch' erano o' obietto delle loro diligenze de' quali per espresse corriero fù fatta copia al Granduca. Schiarito all' hora il suo dubbio e venuto à trito conoscimento della tramata unione à suo soggiogamento, et eccidio angoscioso di sì terribile frangente pose ad esamina co' suoi intimi Consiglieri l' affare;  ventilandosi se per iscongiurare quella tempesta fosse modo più sicuro il cercare con le sommessioni, e con altre insinuationi di placare gli Spagnuoli, e tergere da gli animi loro ogni mala sodisfatione; overo al preparato torrente opporre l' argine della sua congiuntione con la Francia:  e deichiaratamente parteggiare per essa non la guardando à denaro per determinare la perplessità d' Enrico con una ricca dote à sposare Maria sua nipote.  La piena de' pareri venne in qeusta risolutione; e Ferdinando per questa via si procacciò sicurezza, e riposo non osando gli Spagnuoli or che lo vedevano Francese di riempire l' Italia di tumulti, e di guerre nelle quali erano per arrischaire il tutto contra il poco. E Clemente parte per se stesso che mai hebbe cuore d' assalire la Toscana tutto che ne spasimasse di voglia, parte per i disconforti del nipote Cardinale Aldobrandini calcitrosò ad addossarsi l' odio, e l' inimicitia implacabile de' Medici che dopo la morte del Zio li converrebbe sostenere con tanto suo riswchio, travaglio, e discapito si distolse affatto dall' impresa quando da presso la vide si ardua, e zarosa che la sua grandezza poteva rompere in si duro scoglio, e farvi miserabile naufragio.

Pervenuto dunque à Roma [December 18, 1604: Burigny,  Vie du Cardinal du Perron, p. 220-221]  il Cardinale di Perona mostrò curiosita il Cardinale Aldobrandini d' intendere dalla viva voce dell' Ambasciadore di Savoia che li teneva ragionamento di qualche mezo congruo à trattare col Re lper qual ragione non vi si fosse provato col mezo del detto Perona nel suo passaggio per Torino?  Intese dall' Ambasciadore che 'l Duca si era atteso che Perona sarebbe ilo primo ad haverne ragionamento.  Ma il Cardinale non pentivasi del suo silentio, poichè da ciò n'era adivenuto che s'era mosso il Duca à tentare un'altra via per la quale impegnavasi à parlare il primo; e diveniva ricercatore, e non ricercato si che in ogni avvenimento sempre saprebbesi che 'l decoro erasi gelosamente guardato dal canto della Francia.  Ne traeva di ciò un' altra conghiettura Perona che 'l Duca non mica bramasse d' informare quella negotiatione per dar martello à gli Spagnuoli,  e migliorare presso di loro la propria conditione; ma per altro fine più astruso, e più grave quale se potesse riuscire, e si credesse che 'l Re col mezo suo, e del Duca di Mantova havesse riaperte le porte d' Italia ch' erano il Piemonte, e 'l Monferrato non dubitavasi punto non sorgessero strani cambiamenti nell' istessa Italia quando ben la Francia non vi si frammischiasse.  Poiche come col ripudio del Marchesato restavano molte Potenze d' Italia consternate, e avvilite gonsiandosi di tanta presuntione gli Spagnuoli che n'ereano divenuti baldanzosi, e insolenti; e per converso gl' Italiani teneri, e gelosi della propria libertà; così spalancandosi queste altre porte a' Francesi i più occupati da letargo cominciarebbono à disonnarsi, e rinfrancarsi riempiendosi di desiderio di far loro contrasto con le leghe dentro, e fuori dell' Italia.  E di vero esclamava il Re se il Conte di Fuentes s' impadroniva di Monaco; fortificava Soncino; e acquistava Sabioneta dopo havere occupato il Finale, e Piombino bisognava che titta Italia sopportaqndolo si disponesse ad accettare dal Consiglio, e dall' armi di Spagna quella legge che più le volesse imporre senza calcitrare; in che la Francia per più rispetti ritenesse un si grande interesse che non potesse tacere nè dissimularlo più a lungo.  E per tanto impose all' Ambasciadore di rappresentare in viva specie al Papa la conseguenza di tali usurpationi, ed intraprese le quali vie più cotidianamente moltiplicavano per la connivenza, e poco contrasto che affrontava dalla banda de gl' interessati per falta niente meno d' unione, e buona intelligenza trà loro che di cuore, e risolutione.  Ch' egli non pretendeva di turbare l' Italia nè di portarvi la guerra come se n' era fatto uscir voce all' hora che s' era commosso alle novità cimentate nella Valtellina, e contra i Grigioni dal Conte di Fuentes; ma solamente aspirasse a difendere, e conservare la libertà de' Principi, e Potentati i quali non erano ancora in signoria della Corona di Spagna; e sopra tutto l' autorità della Santa Sede.  Ma risisso Clemente nella sua rettissima vguaglianza con molto zelo; e senno sfuggisse gon' impegno di dichiaratione, e di rottura;  di che meritasse somma commendatione se non corresse rischio di cadere insensibilmente alla fine in fastidiosissimo servaggio; e ove durante il suo Pontificato lo declinasse non sapesse se la posterita potrebbe guarentirsene.

Premuroso il Granduca che i Francesi tenessero qualche porta d' Italia per dove potessero facilmente travalicare al soccorso de' Principi d' essa in caso d' invasione sapendo che questa sola opportunità grandemente suffragherebbe à contenere gli Spagnuoli entro a' cancelli del rispetto inverso di noro si che non precipitassero ad alcuna novità, e violenza introdusse col Senato Venitiano per via del Residente segreto maneggio di rimettere quella Corona lem Marchesato di Saluzzo con restituirsi al Duca di Savoia la Bressa.  Ma non rinvenne quella morbidezza di dispositione negli animi di quei Senatori co' quali spartamente ne conferi ch' egli s'era di leggieri prefigurata, auvegnache preoccupati da tenacissima opinione delle inquietudini, e bizzarie di Carlo-Emanuele incapace d'ogni moderatione, e misura temevano che pensandosi di staccarlo un tantino dal partito Spagnuolo non si precipitasse nel Francese con introdurre la guerra in Italia, e porla sossopra : la dove lasciandosi nello stato in cui versava non potesse far gran male.  Che le piccole usurpationi fatte da gli Spagnuoli in Italia da qualche anno in quà non portavano seco conseguenze di ricorso a' rimedij più pericolosi del male medesimo.  Che l' Imperadore più d' ogn' altro vi fosse interessato per la i attura gravissima che vi faceva d' autorità, e di giurisditione.  Che 'l Forte Fuentes, conferisse ad imbrigliare i Grigioni ma non già ad ovviare che la Republica à libito non introducesse trentamila stranieri in Italia.  Che tutte le fortificationi erette dal Conte perirebbono con lui; e come il Consiglio di Spagna sopportava i suoi capricci à più forte ragione l' Italia seguir dovesse il suo esempio.

Dissimulando Ferdinando d' havere scoperta questa renitenza ne' Venitiani significò al Cardinale di Perona per bocca del suo Ministro in Roma che a' Venitiani ad assai quadrasse la reintegratione de' Francesi nel Marchesato di Saluzzo; e che la fiancheggierebbono giusta lor possa; procurando co' suoi infiammati usici d' infervorarlo a promuovere in Corte Christianissima la pratica, tanto gli era à cuore questa faccenda che davasi ad intendere che con nessun' altro argomento proveder si potesse all' indennità, e sicurezza dell' Italia, e sua propria che col premunirla della tutela della Francia;  e che le sue forze godessero la facilità di trapassare in soccorso de' suoi Stati, e dell' altre Potenze della stessa Provincia tanto più che dalla prava volontà verso di lui della Corona di Spagna teneva prove indubitate; e che non credeva di poter' vivere in riposo dalla banda dello Stato Ecclesiastico sotto il Pontificato di Clemente VIII. à causa della passione predominante in lui di francheggiare Fiorenza;  rimetterla in Poliarchia; e vendicare l' espulsione, e i mali trattamenti che pretendeva havere in altri tempi rilevati la sua casa da quella de' Medici della quale con isciocca iattanza la millantava non inferiore.  Da questa ansiosa sollecitudine fù tratto Ferdinando con la morte di Clemente VIII. nel mese di Marzo ricolmandosi il cuor suo di giubilo per l' esaltatione del Cardinale de' Medici che prese il nome di Leone undecimo.  Ma esimera fù questa sua allegrezza per non essere vissuto che pochi giorni;  succedentoli nel Pontificato il Cardinale Camillo Borghese nomato Paolo V.

Fino à questo ultimo Conclave il Cardinale Aldobrandini andò sempre negotiando coll' Ambasciadore di Savoia suo intimo amico per rannodare insieme il Re Cristianissimo, e 'l Duca di Savoia persuadendosi che ove riuscisse prosperevolmente un repentino, e portentoso cambiamento ne seguirebbe nelle pendenze d' Italia; e che di riverbero quelli di Fiandra ne riceverebbono un notabile miglioramento.  pareva che cio fosse un residuo delle istruttioni di Papa Clemente; imperoche dopo la sua morte si riseppe che suo intendimento era stato di ordire una lega difensiva trà lui, e i Principi d' Italia in opposito de gli Spagnuoli subito che 'l Cardinale Aldobrandini saria ritornato da Ravenna.  E Paolino Datario [Cardinal Bernardino Paolini, sub-datary under Cardinal Sasso, then pro-Datary]  per suo comandamento ne formò la bozza; e veniva destinato Cardinale Legato di Romagna affinche sotto il manto di quella Legatione potesse opportunamente manipolare l' unione con la Republica di Venetia, e col Granduca;  e rimettere in tavola il negotio del parentado trà lui, e il Duca di Savoia.  Dopo essersi il medesimo Cardinale Aldobrandini dato per inteso coll' Ambasciadore di Savoia circa l' onore fattogli dal Re di gradire che s' ingerisse della pendenza trà la M. S. e il Duca prese consiglio di spedire corriero à Torino per avvertirlo come andasse divisando di fare un viaggio fino à Ravenna affinche se voleva il Papa valersi della sua opera per trattare di qualche altra faccenda in quella Corte gliè lo notificasse avanti la sua mossa.

 

 


Siri notes that his narrative is based on certain documents at his disposal:
      Letter of Msgr. Anastasio Germonio to the Duke of Urbino and Duke of Savoy, on the Farnese affair   (November 6, 1604).
      Dispatch of Ambassador Philippe de Béthune to King Henri IV (September 6, 1604).
      Dispatch of King Henri IV to Ambassador Philippe de Béthune in Rome, November 16, 1604
      Letter of Cardinal du Perron to Secretary of State Villeroy,   November 22, 1604.
      Letter of King Henri IV to Ambassador Philippe de Béthune in Rome, December 28, 1604
      Letter of Cardinal du Perron to King Henri IV, January 12, 1605.
      Letter of King Henri IV to Ambassador Philippe de Béthune in Rome, January 23, 1605
      Patent Letters of King Henri IV, dated March 19, 1605
      Sentence of Deprivation, April 15, 1605.
 


link to documents on  papal  election-May, 1605


 



© 05/30/2014


June 22, 2014 1:46 PM

John Paul Adams, CSUN
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